San Simonino da Trento
Olio su tela
| cm 90 x 150
Nella notazione relativa al lotto cui questo dipinto viene assegnato, la Gregori aggiunge una frase che ben riassume la vicenfa di cui fu protagonista il soggetto dell’opera: “Opera notevole e importante perché dedicata al Santo che si ritenne mertirizzato dagli Ebrei (si ricorda la presenza di una vasta colonia israelita a Ferrara)”. La vicenda cui fu protagonista Simonino si impernia su di un fatto di efferrata ferocia che portò alla sua uccisione a Trento il 26 marzo 1475. Secondo una falsificazione storica, poi smentita dall’autorità cattolica nel 1965, Simonino Lomferdorm, di due anni e mezzo, venne ucciso da un gruppo di ebrei, che lo sacrificarono come vittima celebrativa della Pasqua ebraica che correva proprio quel giorno. L’accusa nei confronti degli ebrei tridentin venne sostenuta dal vescovo Johannes Hinderbach, con lo scopo di scatenare sentimenti antisemiti nei concittadini per contrastare i banchi d’usura degli ebrei, essendo egli tra i grandi promotori degli allora nascenti Monti di Pietà. Il vescovo diede molto risalto alla vicenda anche fuori Trento, e sfruttò come veicolo di diffusione la nascente stampa. Sono molte, infatti, le incisioni che raffigurano il martirio di Simonino, descritto in tutti i suoi particolari crudeli e raccapriccianti. Nelle stampe dell’epoca si legge tutta la storia, dal rapimento del bimbo alle fasi del suo martirio: Simonino, catturato con blandizie, viene trattenuto a braccia spalancate – un forte richiamo alla crocifissione di Cristo – dai carnefici, che poi lo strangolano con una stola bianca, mentre un altro gli strappa un brano di carne dalla mascella con una tenaglia; gli viene inferta poi un’orrenda mutilazione al pene – crudele punizione per una non avvenuta circoncisione -, il cui sangue viene raccolto in un bacile, infine il resto dei partecipanti al martirio gli crivella il corpo con degli spilloni. Seguono poi lo spregio al cadavere del bambino e la rappresentazione del banchetto rituale. Il percorso narrativo si conclude con il ritrovamento del corpo martirizzato di Simonino e il conseguente processo di coloro che erano considerati gli autori dell’orribile crimine. Accanto a questa rappresentazione di tono “veristico” se ne affianca un’altra, di carattere quasi “astratto” e corredata solo dei simboli iconografici del martirio: la sciarpa bianca, il bacile con il sangue, la tenaglia e i chiodi. Il bimbo, raffigurato vestito – e non più nudo con le sue mutilazioni e ferite apertamente in vista -, stringe nella mano destra il vessillo con la croce, simbolo del martirio di Cristo. Questo tipo di rappresentazione fu particolarmente usato da quegli artisti che dipinsero Simonino nel periodo dopo la Controriforma, trovandolo molto più consono ai dettami imposti dalla Chiesa e stabiliti durante un concilio di Trento relativi all’iconografia dei dipinti di soggetto sacro. E proprio in questo periodo fu dipinto Simonino da Trento della conciliazione Sacrati Strozzi. Il piccolo viene rappresentato come Triumphans in quanto recante il vessillo crucifero, è rigorosamente vestito e gli strumenti serviti dal suo martirio vengono ostentati come attributi esornativi. Inoltre Simonino – accompagnato da altri due bambini che sembrano riferibili ali allettamenti usati dagli ebrei per rapirlo – viene raffigurato non più come un bambino di due anni e mezzo, ma come un adolescente che meglio può rappresentare la coscienza del suo martirio; tale cambiamento risponde ai dettami della tradizione canonista secondo la quale un essere umano è responsabile di sé stesso a partire dai sette anni. Molto simile al dipinto sopra citato è un altro esempio tuttora presente a Ferrara presso la collezione Guizzardi, unica variante è l’assenza degli altri due bambini e il colore del vestito del Simonino, che in questo caso è verde anziché bordeaux. La medesima tipologia è riscontrabile in una tavola di grande formato (300 x 280 cm), conservata a Perugia presso la galleria Nazionale d’Umbria, opera di Pier Martino Fiammingo. Simonino viene collocato, diversamente dai due casi precedenti, all’interno di un’architettura dalla forte impostazione prospettica, circondata da una cornice ripartita in nove quadretti con gli episodi della storia del martirio. Evidentemente questi tre dipinti fanno riferimento a un unico prototipo molto probabilmente di derivazione grafica. I due esemplari di provenienza ferrarese risultano particolarmente interessanti perché attestano insieme ad altre testimonianze il culto del presunto santo anche a Ferrara, città con una consistente comunità ebraica.;Giuliana Marcolini, “La collezione Sacrati Strozzi, i dipinti restituiti a Ferrara” Fondazione CARIFE, 2005.
Identificativo: 12
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