Skip to main content

La Madonna dell’Umiltà

La Madonna dell’Umiltà

1450-1460 ca.
Tempera su tavola
| Cm 36,5 x 51

L’ottimo stato di conservazione presenta una frattura molto accurata sia nella bulinatura del fondo sia nell’uso delle velature a lacca che danno consistenza alla corona, ricavata sullo stesso fondo d’oro, e che, con diversi spessori, realizzano delle pieghe del manto della Vergine. Le capacità di trarre il massimo risultato dai materiali a disposizione emerge poi dalla resa del cuscino damascato e dalle erbe del prato. Il dipinto ha una vicenda critica tortuosa, che lo vede assegnare un collezione Lombardi a Cimabue, poi da Droghetti (1901) a Duccio e da Barbantini (1910) alla maniera greca. La sua estrazione ferrarese venne viceversa riconosciuta da Volpe, che nel 1970, in una catalogazione manoscritta della raccolta Massari ne propose un’attribuzione ad Antonio Alberti. Spetta a Padovani (1976) l’averne ricondotta l’esecuzione entro un gruppo stilistico assai omogeneo che prende il nome da un trittico con la Madonna col Bambino tra i Santo Caterina e Pietro Martire, già nel duomo di Imola ed ora nella Pinacoteca di quella città, ed entro il quale sono confluiti numerosi dipinti di soggetto sacro, per lo più riferiti in precedenza allo stesso Antonio Alberti. Importanti affreschi provenienti da Ferrara, della cui esistenza ha dato notizia Zeri (in Vignola 1988), testimoniano dell’attività di questo anonimo artista per la capitale estense. So tratta di un maestro caratterizzato da una attenta e preziosa cura esecutiva, più che di linguaggio, che sintetizza, riconducendole ad un minimo ( ma non banale) denominatore comune, le esperienze in atto nella cultura ferrarese. Nelle opere più antiche, come la Madonna qui esaminata, la cui esecuzione sembrerebbe cadere negli inoltrati anni Venti, egli sembra infatti dipendere dallo stile maturo del Maestro G.Z. (Madonna di Pietro de’ Lardi e affreschi nella cappella di San Martino nella Sagra di Carpi), mostrandosi anche al corrente, nei ritagli festonati del manto, dei modi di Giovanni da Modena e della cultura veneto-adriatica che fa capo a Gentile da Fabbriano. Per le prerogative di irreprensibile cura esecutiva, altre che di adesione agli schemi ben consolidati dalla tradizione, egli dovette incontrare di fatto il favore di una committenza di gusto conservatore ma di auliche pretese, per la quale risulta attivo, in prodotti di elegante confezione per lo più di piccole dimensioni, fin verso il 1450. A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Identificativo: 77 [523]

Acquisizione: 1973