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I santi Stefano e Lorenzo in adorazione della Madonna con bambino

I santi Stefano e Lorenzo in adorazione della Madonna con bambino

Olio su tela
| Cm 124 x 197

Il dipinto è ricordato per la prima volta da Barotti in una nota a margine del manoscritto di Brisighella (sec. XVIII) nella terza cappella della navata sinistra nella chiesa di San Benedetto a Ferrara, dove venne trasferito nel 1753 dalla chiesa che i monaci Cassinesi di San Benedetto possedevano in località Caselle presso Gaiba nel Polesine estense. L’erronea lettura iconografica che in tale nota aveva spinto Barotti a individuare nei due personaggi inginocchiati i Santi Stefano e Lorenzo. Riferita Paolo Veronese sia da Barotti che da Scalabrini, mantiene tale attribuzione nelle collezioni Saroli e Lombardi, mentre Droghetti (1901) la assegna a Bastianino, attribuzione confermata dai successivi cataloghi della collezione Massari. Il dibattito critico intorno all’opera viene riaperto da Volpe (1970) che l’assegna allo Scarsellino, tesi non condivisa dalla Novelli (1984, 1990) che ritiene trattarsi di dipinto in ambito veronese mentre alla cerchia scarselliana è ricondotta dalla sottoscritta.
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Dopo una cauta ipotesi attributiva a pittore ferrarese inizi XVII secolo (Carlo Bononi?) di J. Bentini (1984) e la proposta paternità di Giovan Francesco Surchi detto il Dielaì di recente la stessa Bentini (1988) ha assegnato l’opera a Ludovico Settevecchi, un artista di origine modenese pressoché ignorante dalla storiografia locale, ma al contrario attivo con continuità a Ferrara dal 1547 al 1584 oltre che nei cantieri estensi (Castello, sala dell’Aurora ecc.) nella chiesa e nel convento di San Benedetto, come recenti accurate ricerche archivistiche e documentarie hanno rivelato. L’attribuzione a Ludovico Settevecchi trova conferma, inoltre, in un documento riportato da Luigi Napoleone Cittadella e riferito a lavori fatti “per il R. di Padri di Sto. Benedetto in Ferrara” in cui nella lista di “M. Lodovico “si legge ” per haver fatto S. Lorenzo alle caselle, L. 15.12.0″, con evidente riferimento al dipinto in oggetto proveniente appunto dalla chiesa che i monaci Cassinesi di San Benedetto possedevano in località Caselle presso Gaiba. L’articolato dibattito attributivo trova comunque la propria giustificazione nella complessità di un’opera come questa, dove tutta l’ispirazione, dai timbri cromatici ai contrasti vibranti tra zone d’ombra e di luce denuncia precisi interessi per la cultura veneta di Tiziano e di Paolo Veronese, cui si rifanno le forme ampie e dilatate dei due Santi avvolti in sontuose dalmatiche, arricchendo di inedita umanità un modello compositivo tipicamente manierista e controriformato. È da notare inoltre come questo alto grado di venetismo sia filtrato da un linguaggio ferrarese che punta a rinsanguare la materia pittorica di umori fenomenologici, come nella nuvola cupa, fumosa che circonda la Vergine col Bambino e gli angeli di sentore bastianinesco. Un narrare commosso per via di verità e semplicità quotidiana caratterizza inoltre questo prezioso dipinto, sostanziandosi in una particolarissima attenzione naturalistica che coinvolge la penetrante umanità dei volti dei due Santi in adorazione, maturi esiti di quella tradizione ferrarese-dossesca che riemerge e persiste negli “eccentrici” del tardo Cinquecento ferrarese ( da Bastianino a Settevecchi, da Dielaì a Bastarolo, da Scarsellino a Bononi).
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.


Identificativo: 100 [546]

Acquisizione: 1973