Santa Cecilia

Questo dipinto potrebbe rientrare tra quelli costituenti il nucleo più antico della collazione, se si riferisce a esso il documento in cui si cita un dipinto raffigurante Santa Cecilia tra i beni lasciati in eredità da Giulio Sacrati nel 1694. Nella Raccolta viene citato come Paolo Verose, attribuzione che rimane fino al 1983 quando Mina Gregori lo accredita a “Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino”. Con tale attribuzione viene presentato nel catalogo d’asta Sotheby’s nel 1992. Nel 1996 Jadranka Bentini (1996) riconferma lo Scarsellino come autore del dipinto, che vede bene come tipica opera da collezione, adatta a figurare in una “Galleria” della Ferrara del Sei-Settecento, dove molti erano i quadri di “genere” musicale; come appunto quello citato nell’inventario 1694, relativo ai beni lasciati in eredità da Giulio Sacrati, personaggio ampiamente ricordato dalla storiografia locale per aver “fatta copiosa e ricca raccolta di molte anticaglie e ne mostrava una nobilissima galleria […] ricolma di […] pitture”.

Ippolito Scarsella

Crocifissione

Tra le quattro composizioni, la Crocifissione è quella più ricca di personaggi, vi compaiono figure in movimento, che reagiscono con vivacità o che soffrono. Cristo crocifisso domina la parte superiore della scena. Al suo fianco si trovano i due ladroni in croce in posizione agonizzante. Tutti si proiettano in un cielo tempestoso e oscuro, squarciato dalla luce soltanto dietro il corpo di Gesù. Ai piedi della croce centrale la Vergine svenuta è sorretta da San Giovanni, dalla Maddalena e da altre donne. Nell’angolo sinistro due soldati si giocano ai dadi la tunica di Gesù crocifisso. Intorno alla base delle croci si accalca una moltitudine di gente a cavallo o a piedi, il centurione a destra, due soldati con la lancia e la spugna e altri con stendardi ondeggianti, mentre un servo su una scala si appresta a torturare le gambe di uno dei ladroni. […];José Alvarez Lopera, El greco, identità e trasformazione. Creta, Italia, Spagna. Skira, 1999

Theotocopulos Domenico

Cristo davanti a Pilato

Nel Cristo davanti a Pilato, l’interesse dello spettatore è focalizzato su tre punti del quadro. Cristo, legato e con la corona di spine, entra da sinistra. Un gruppo di ebrei sulla destra ne nota la presenza. Ponzio Pilato, con corona sul capo, siede davanti a una tenda rossa sua una tribuna circolare gradinata, sullo sfondo destro. Due dei suoi servizi, di cui uno nero, sostengono la brocca e il catino cosicché possa lavarsi le mani. Il pavimento è composto da marmi policromi, tagliati in diverse forme geometriche e collocate simmetricamente e in prospettiva di scorcio. […];José Alvarez Lopera, El greco, identità e trasformazione. Creta, Italia, Spagna. Skira, 1999

Theotocopulos Domenico

Preghiera nell’orto

Nell’orazione nell’orto, Cristo prega in ginocchio a fianco di una roccia scura. L’angelo, con braccia nude e manto ondeggiante, gli appare in una luce dorata e gli porge il calice. I tre apostoli si sono addormentati e giacciono in posizioni ritorte, ciascuna differente dall’altra. In primo piano vi sono San Giovanni, con il capo appoggiato sulle ginocchia, San Pietro, appoggiato a una roccia con la spada nella mano distesa (probabile allusione alla scena seguente il ciclo della Passione, il tradimento di Giuda e l’arresto di Cristo, quando San Pietro, irato, taglia l’orecchio al servo Malco) e poco più in là Giacomo con le spalle appoggiate a quelle di San Giovanni e con il manto come cuscino. Il piccolo olivo selvatico in basso a destra ricorda il nome del luogo: Monte degli Olivi. La strutturazione geometrica della composizione si caratterizza per assi oblique subordinate a uno schema simmetrico, con la figura di Cristo al centro. A sinistra, il paesaggio si apre su basse colline verdi e su alcuni edifici appena visibili, semplicemente abbozzati sullo sfondo. Al di sopra di tutto questo, tra le nubi, spunta il sole (inizialmente disegnato più a destra). Il cielo si tinteggia di un rosa dorato, sopra vi si proiettano i radi rami dei cespugli della scura roccia, che circonda minacciosa la figura di Cristo. I riflessi della luce illuminano tutti i personaggi. Il volto di Cristo, e specialmente la sua fronte, brilla come fosse umida di un sudore d’agonia. Più intensi sono i riflessi nei manti degli apostoli, dove si formano superfici illuminate ampie e brillanti, di ricca trama. ;José Alvarez Lopera, El greco, identità e trasformazione. Creta, Italia, Spagna. Skira, 1999

Theotocopulos Domenico

Lavanda dei piedi

Per l’interpretazione del tema della lavanda dei piedi, il pittore ha creato una scena simmetrica con il gruppo principale, quello di Cristo e San Pietro che si trova al centro, in primo piano. Mostra particolare interesse nell’adozione della prospettiva lineare con punto di fuga comune nell’asse verticale centrale dell’opera, che termina nella porta con arco a tutto sesto. La simmetria concorda sicuramente con la composizione destinata ad essere quella visibile quando il trittico devozionale era chiuso. La scena si situa in una sala coperta da una volta, con il tetto risolto mediante una sorta di volta a croce che comunque non copre completamente lo spazio. Sullo sfondo un settore del tetto sembra avere un’apertura, attraverso la quale la luce illumina il muro di sinistra (rispetto allo spettatore). Un’altra fonte d’illuminazione è situata fuori dalla scena, mentre fasci luminosi cadono dalla grande lampada di vetro che cade dal soffitto. Il pavimento è a scacchiera e alterna losanghe biancastre e rosacee, disposte in prospettiva. Nel primo piano della rappresentazione di Cristo, in ginocchio, lava i piedi a Pietro, mentre nell’estrema destra un giovane apostolo (di cui fu soppresso già in passato parte del corpo), visto di spalle, con la testa girata all’indietro, porta la brocca d’acqua. Dietro Cristo, in secondo piano, un vecchio apostolo, seduto, si asciuga il piede sinistro sollevato, con un panno frangiato, mentre si rivolge verso Gesù. Gli altri nove apostoli, seduti, inchinati o in piedi si muovono e gesticolano vivacemente. Il tratteggio è disinvolto, la pennellata fluida, la scala cromatica è ricca e varia nelle combinazioni e sfumature dei tre toni di base – rosa, oro, arancione-. Tutto lo schema iconografico, con un personaggio centrale (qui apostolo) seduto sullo sfondo, con un braccio alzato come gesto di accompagnamento al suo discorso, ricorda il tema di Cristo che insegna al tempio. […];José Alvarez Lopera, El greco, identità e trasformazione. Creta, Italia, Spagna. Skira, 1999

Theotocopulos Domenico

Figura maschile – frammento

Nell’inventario 1850 la tavola è catalogata come di mano di “Ercole Grandi”, attribuzione poi corretta in “Bramantino”. Nell’inventario redatto da Mina Gregori nel 1983, la si considera opera di un generico artista di “Scuola di Ercole de’ Roberti” e come tale viene presentata in catalogo d’asta Sotheby’s nel 1992. Per Daniele Benati (1996) l’indicazione è sempre valida, anche se non si può parlare di dipendenza diretta da modelli del maestro. La resa pittorica si connota per suggestioni fiamminghe, che impreziosiscono una forma improntata a grande monumentalità e a una certa astrazione, con esiti assimilabili a quelli proposti negli anni Novanta da Giovan Francesco Maineri e dal giovane Francesco Francia. A suo avviso, sono però riferimenti che non conducono per il momento a una precisa identificazione. Il dipinto faceva evidentemente parte di una composizione più vasta, come del resto suggerito anche dalla notazione aggiunta nel corso dell’Ottocento nell’inventario 1850: “Fragmento d’un quadro grande”. Il personaggio soggetto del dipinto, indicato nellìinventario 1850 come “Munsulmano” per via degli abiti di foggia orientale e del turbante in capo, fu visto come “Pilato” da Charles Loeser, il collezionista americano che viveva a Firenxe e che fu evidentemente in contatto o con Massimiliano Strozzi Sacrati, padre di Umberto, o con Umberto stesso e che poté edere la collezione proveniente per via ereditaria da Ferrara. Ma forse è più probabile si tratti del fariseo Giuseppe d’Arimatea, membro del Consiglio, che secondo la tradizione fu presente alla deposizione di Cristo, e fornì il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo del Signore. La figura porta per l’appunto un drappo bianco appoggiato sulla spalla sinistra; si volge verso un’altra figura (forse il committente-donatore?), di cui, dato il taglio subito dalla tela in epoca sconosciuta, sono rimaste visibili solo le mani giunte. Sullo sfondo compare una citazione di sapore “classico”, costituita da un rudere di lesene marmorea; questa da un rudere di lesena marmorea; questa reca nel basamento un bassorilievo in cui, parzialmente leggibile, compare la raffigurazione di una decapitazione (del Battista, di Donnino, di un altro santo “cefaloforo”?). Tale citazione “classica”, così frequente nei dipinti di de’ Roberti, ci riorienta verso l’attribuzione – già formulata dalla Gregori – a un artista dell’ambito del maestro ferrarese.;Giuliana Marcolini, “La collezione Sacrati Strozzi, i dipinti restituiti a Ferrara” Fondazione CARIFE, 2005.

Scuola Ferrarese Fine XV° sec

Madonna col Bambino, san Pietro e un santo vescovo

Questo piccolo dipinto è una felice testimonianza della produzione di Scarsellino per il mercato privato. Il soggetto è organizzato nel classico schema di una pala d’altare, seppure in formato ridotto, ma i personaggi sembrano davvero colti durante una conversazione all’aria aperta, immersi nella luminosità atmosferica di un paesaggio appena accennato. Che non si tratti di un bozzetto è suggerito dalla qualità e finezza di opera compiuta, nonostante la presenza centrale dello scudo forse pensato per accogliere le insegne araldiche di un committente, ma poi rimasto vuoto. Resta incognita l’identità del personaggio sulla destra, che la mitra e il pastorale qualificano come un vescovo. Possiamo immaginare che in origine il piccolo dipinto, prima di confluire nell’Ottocento nella collezione del marchese Massimiliano Strozzi, fosse parte di quel tessuto di collezionismo minore che popolava molte abitazioni di cittadini ferraresi, come ricordano fonti e documenti.
Federico Fischetti

Ippolito Scarsella

Sant’Andrea, San Giacomo

È sconosciuta la collocazione originaria delle due tele che avrebbero potuto fare parte di una serie dedicata agli Apostoli. I giudizi attributivi sui dipinti, riuniti recentemente formare un dittico, convergono tutti sul nome i Nicolò Roselli, coetaneo di Camillo Filippi ed esponente della pittura ferrarese di ascendenza dossesca ormai al completo tramonto. Lo storiografo Baruffaldi, nel descrivere le tavole della Certosa, ritiene il Roselli muoversi su di una “linea di mezzanità”, ma comunque meritevole di menzione. L’artista, non certamente di grande statura, muove i suoi passi nel momento in cui il primato della pittura locale è detenuto da Camillo Filippi, affiancato ancora dal vecchio Garofalo. La brillantezza dei colori, l’iponenza delle figure, la larghezza dell’impianto e la minuzia dei particolari naturalistici avvicinano questi due dipinti al periodo maturo di Gerolamo da Carpi, e più ancora da Battista Dossi. Una datazione fra il 1550 e il 1560 dovrebbe essere la più probabile, in coincidenza con la esecuzione del capolavoro dell’artista, le già citate tavole con le Storie di Cristo commissionate dai Certosini di San Cristoforo.;a cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Niccolò Roselli


Fondazione Estense
Via Cairoli, 13 - 44121 Ferrara | tel. 0532/205091 | email: info@fondazioneestense.it
www.fondazioneestense.itwww.ceramicastoricaferrara.it | rivista.fondazioneestense.it