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Mese: Ottobre 2021

I grandi fiori di casa Massimo

Il titolo del dipinto rimanda alla visita di De Pisis in casa del principe Leone Massimo che lo omaggiò con un ricco e variopinto mazzo di fiori.
La sorpresa e “il momento di intensa gioia” furono tradotti sulla tela con immediatezza e quasi foga espressiva, attraverso “una materia densa, palpitante, stesa a pennellate rapide e corpose” (Guidi in Da Boldini a De Pisis, p. 94), dominata da un turbinio di colori. A destra compare un oggetto arcaico, “un ex voto etrusco” della collezione del principe, che conferisce una tensione spirituale alla raffigurazione.

Pacelli in De Pisis a Ferrara

Filippo de Pisis

La cantante mondana

La cantante mondana è un quadro fondamentale del periodo che precede la svolta definitiva di Boldini verso il genere del grande ritratto. Prima di divenire il ritrattista del bel mondo parigino infatti, Boldini fu il pittore di Parigi. Vi è nella sua lunga carriera, che ha conosciuto più momenti e più fasi, un primo cruciale quindicennio, da quando si trasferisce nella capitale francese nel 1871 fino al 1886, in cui il pittore ferrarese ritrae ogni aspetto della vita della metropoli traducendone le atmosfere in pennellate scattanti, nervose talvolta travolgenti. Si tratta di un capitolo fondamentale nella carriera di Boldini che coincide con l’esplosione della rivoluzione impressionista e che è ancora oggi poco studiato. Appassionato melomane fin dalla giovinezza, a Parigi Boldini frequentò assiduamente gli ambienti della musica e del teatro per analizzare, con interesse analogo a quello del Collega Degas, le attitudini dei loro protagonisti sotto il riverbero della luce artificiale.
Barbara Guidi

Giovanni Boldini

Palazzo Sacrati Muzzarelli Crema

Palazzo Sacrati Muzzarelli Crema


l Palazzo ci appare ora come un rettangolo irregolare attorno alla corte, frutto della combinazione di stili completamente diversi.

Originariamente l’edificio consisteva di soli due cassi, corrispondenti all’entrata antica e a quella attuale, mentre il terzo, più ad est, faceva parte del palazzo confinante.
L’assetto attuale è frutto di un rifacimento del 1853, che comportò la costruzione dell’attuale scalone di marmo e il rialzo del tratto di facciata annesso a levante.
L’ala di sinistra con il cortile e la loggia conserva le ornamentazioni in cotto e i capitelli marmorei di stile gotico, associati a modi rinascimentali, secondo la prassi tipica dell’arte ferrarese tra il quarto e il sesto decennio del ‘400.
Il risultato più virtuosistico di questa commistione è il corridoio su baldresca doppia, largo più di tre metri, che si affaccia sul cortile ed è sorretto da un semplice muro; la struttura ha ispirato anche una descrizione dell’Ariosto (Canto XIV, 121).
Giorgio Padovani ha attribuito la ristrutturazione quattrocentesca del palazzo a Pietrobono Brasavola, un architetto documentato dal 1434 al 1461, probabile autore di Casa Romei alla quale il palazzo è stato spesso paragonato.
Il restauro ha confermato le affinità e ha svelato alcune strutture originali, come un’insolita scala quattrocentesca, sostenuta da un arco ribassato e da uno altissimo, e parte dei muri originali su Via Cairoli, ricoperti dal rifacimento ottocentesco.

Opere esposte

44.8368,11.6205

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Castello Estense

Castello Estense


Le due opere della Fondazione Estense sono state esposte nelle sale del Castello Estense in occasione della grande retrospettiva dell’opera dell’artista “Giovanni Battista Crema. Oltre il divisionismo”, mostra che ha riunito oltre 70 opere, dal 13 marzo al 29 agosto 2021.

Al termine, entrambe sono tornate ad arredare Palazzo Crema.

Per maggiori informazioni: www.castelloestense.it

Opere esposte

44.8377,11.6195

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Gamc – Palazzo Massari

GAMC – Palazzo Massari


Palazzo Massari fu eretto a partire dall’ultimo decennio del Cinquecento, per volontà del conte Onofrio Bevilacqua, tra il quadrivio degli Angeli, fulcro dell’ambizioso progetto urbanistico di Biagio Rossetti, e l’antica piazza Nova, oggi Ariostea. Durante gli ultimi trent’anni del Settecento, l’edificio venne ampliato con la costruzione della Palazzina Bianca, anche denominata Palazzina dei Cavalieri di Malta.

Nello stesso periodo, gli orti retrostanti il palazzo furono trasformati in parco con giardini all’italiana e fu edificata la Coffee house, fabbricato neoclassico ad opera dell’architetto ferrarese Luigi Bertelli.

Dopo alcuni decenni di incuria e spoliazioni seguiti alle conquiste napoleoniche e al tramonto delle fortune dei Bevilacqua, all’indomani dell’Unità il palazzo divenne proprietà della famiglia Massari. Venduto dagli eredi al Comune di Ferrara, dal 1975 ospita le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea.

Opere esposte

44.8422,11.6246

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Pinacoteca Nazionale – Palazzo dei Diamanti

Pinacoteca Nazionale – Palazzo dei Diamanti


Il Palazzo dei Diamanti, uno dei più celebri dell’architettura del Rinascimento italiano, sorge all’incrocio delle due arterie principali dell’Addizione Erculea, la parte moderna della città voluta da Ercole I d’Este alla fine del Quattrocento.

Iniziato nel 1493, da Biagio Rossetti, architetto responsabile dell’Addizione, fu completato e modificato nel secolo successivo. L’edificio prende il nome dalle 8500 pietre tagliate a punta di diamante che compongono il bugnato. 

Nel 1842 il Palazzo, allora di proprietà della famiglia Villa, fu acquistato dal Comune per diventare sede della Pinacoteca..

Dopo la seconda guerra mondiale, il Comune ha ceduto il museo allo Stato. In anni recenti la Pinacoteca Nazionale di Ferrara ha arricchito il primo nucleo di dipinti provenienti per lo più dalle chiese cittadine grazie ad una serie di acquisti, donazioni e depositi. Sono qui conservate collezioni private come la Vendeghini Baldi e la collezione della Fondazione Estense

Opere esposte

44.8422,11.6211

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Allegoria con Bacco

Il dipinto è uno dei rarissimi quadri da cavalletto di soggetto profano di Bastianino oggi noti. La gaudente figura di Bacco incoronato di fiori e spighe sembra indurre uomini e animali a imitarla. Simboli di lussuria spesso associati a Bacco sono sia la scimmia alla catena che la serva nera con il fuso infilato nel turbante. Al culto di Dioniso era associata pure la ciarliera gazza, che veniva sacrificata al dio per ricordare quanto il vino sciolga la lingua. Rimane invece oscuro il significato da attribuire ai due bambini, di cui l’uno, un piccolo gentiluomo in gorgiera, beve da un bicchiere di vetro, mentre l’altro regge un fiasco e porta sulla spalla una rete colma di sassi. La stesura pittorica nebulosa e sdutta, drammaticamente baluginante sul fondo d’ombra, e le forme espanse fino alla deformazione della anatomia sono un omaggio al genio irriverente di Dosso Dossi, mentre la ricerca di effetti umoristici attraverso l’espressività caricata dei volti e l’intento scopertamente parodistico nei confronti del mito classico, sembra richiamare la “pittura ridicola” di origine nordeuropea.
Marcello Toffanello

 

Sebastiano Filippi

Paesaggio con contadini e pastore

Questo dipinto, abbrunato da un colore terroso contrastato da chiarori giallognoli, richiama elementi tipici della fantasia paesaggistica del ferrarese Giuseppe Zola (1672-1743), nei particolari delle costruzioni, nel degradare collinoso del fondo, nell’ergersi improvviso del picco roccioso, nella cascatella in primo piano. Ma una certa monotonia e freddezza dell’insieme compositivo, opacizzato da un colore privo di ariosità, suggerisce il nome piuttosto il nome di Margherita Zola, artista in gran parte sconosciuta che sopravvisse molti anni al padre “del quale non arrivò al merito, quantunque cercasse seguirne le traccie, essendo la migliore sua cosa l’imitazione del di lui colorito”.
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Margherita Zola

Paesaggio con due viandanti

Di piacevole decorativismo domestico, questi toni di piccole dimensioni sono del tutto simili nella “fattura spigliata e assai libera” ai frammenti di paesaggio di Giuseppe Zola (1672-1745), conservati in collezione Spisani a Ferrara. I soffusi chiarori azzurrognoli dello sfondo si addensano sui muri sfocati delle case e si mescolano al verde tenero della vegetazione in primo piano, componendo due paesaggi prettamente “di genere”. Le figurine poste quasi contemplazione della natura, pur in reciproco colloquio, sono tracciate in modo tanto sommario da suggerire l’esecuzione di un pennello di bottega.
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Giuseppe Zola

Paesaggio con due donne

Di piacevole decorativismo domestico, questi toni di piccole dimensioni sono del tutto simili nella “fattura spigliata e assai libera” ai frammenti di paesaggio di Giuseppe Zola (1672-1745), conservati in collezione Spisani a Ferrara. I soffusi chiarori azzurrognoli dello sfondo si addensano sui muri sfocati delle case e si mescolano al verde tenero della vegetazione in primo piano, componendo due paesaggi prettamente “di genere”. Le figurine poste quasi contemplazione della natura, pur in reciproco colloquio, sono tracciate in modo tanto sommario da suggerire l’esecuzione di un pennello di bottega.
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Giuseppe Zola

Madonna col bambino, San Giuseppe, San Domenico e San Carlo Borromeo

La tela, di cui non è stato possibile rintracciare la collocazione originaria, è stata riconosciuta dello Zallone su suggerimento di Francesco Arcangeli. Gli evidenti riferimenti guercineschi, ispessiti in un’atmosfera coloristica pesante e contrastata, fanno di questo dipinto un esempio significativo della produzione di quella confusa “manca diversa di apprendisti o imitatori, o inesperti zelatori del grande Guercino” tra i quali si colloca lo Zallone, il più sorprendente forse dei “nati” dal celebre maestro centese. Una certa sproporzione delle figure così isolate fra loro, nella singolarità delle attitudini e della partecipazione emotiva, evidenzia la predilezione dell’artista verso una monumentalità delle forme rudi e solenni insieme. L’umile umanità contadina di questi santi, dall’intensità semplice e modesta degli sguardi, individualmente rivolti alla Madonna con Bambino è la medesima che si ritrova nelle pale zolanesche per gli altari di San Pietro a Cento. L’Assunta con i santi Francesco e Bonaventura, e una donatrice sul terzo altare della navata destra, e la Madonna di San Luca con Sant’Antonio Abate, San Paolo, San Sebastiano e San Gregorio Magno sul quinto altare della navata sinistra della chiesa, ancora nella loro collocazione originaria, sono concordemente ricordate da tutta la letteratura locale come opere dello Zallone. Una maturità di stile più consapevole, nutrita di austerità grave e di umile verità, sembra rinsaldare le linee di questa composizione, più lontane dalle marcate tracce guercinesche del percorso giovanile dell’artista e da collocarsi intorno alla fine del secondo decennio del Seicento. Il dipinto Ragazzi, per la solida e pacata presenza del San Giuseppe, accostata alla spessa luminosità del San Domenico e alla rusticana fisionomia del San Carlo, per qualche incertezza compositiva, di rigida formazione controriformista, sembrerebbe appartenente ad un momento precedente alle Pale della chiesa di San Pietro, che segnano indiscutibilmente il punto più alto della pittura del centese.
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Benedetto Zallone

Annunciazione

Sul pozzo compare uno stemma tripartito, ora malamente leggibile, riferito alternativamente alla famiglia Graziadei o ai Rondinelli e Mosti. In epoca imprecisata il dipinto è stato fatto oggetto di un pesante restauro che ne ostacola in parte la lettura. Allorché si trovava in collezione Lombardi la tela era riferita a Cosmé Tura. In seguito A. Venturi, che in un primo momento aveva caldeggiato l’attribuzione alla fase avanzata del Tura (1888), pensò ad un seguace di Francesco del Cossa assai prossimo all’autore della Madonna commissionata da Ambrogio Saraceno per San Giovanni in Monte a Bologna (1903 e 1914) e come tale essa figurò alla mostra del 1933. La dipendenza dai modi del Cossa era ribadita anche da Longhi (1934), che ne proponeva una data tra il 1485 e il 1490, svincolandola però dal bolognese Maestro di Ambrogio Saraceno.

Vicino da Ferrara

I santi Stefano e Lorenzo in adorazione della Madonna con bambino

Il dipinto è ricordato per la prima volta da Barotti in una nota a margine del manoscritto di Brisighella (sec. XVIII) nella terza cappella della navata sinistra nella chiesa di San Benedetto a Ferrara, dove venne trasferito nel 1753 dalla chiesa che i monaci Cassinesi di San Benedetto possedevano in località Caselle presso Gaiba nel Polesine estense. L’erronea lettura iconografica che in tale nota aveva spinto Barotti a individuare nei due personaggi inginocchiati i Santi Stefano e Lorenzo. Riferita Paolo Veronese sia da Barotti che da Scalabrini, mantiene tale attribuzione nelle collezioni Saroli e Lombardi, mentre Droghetti (1901) la assegna a Bastianino, attribuzione confermata dai successivi cataloghi della collezione Massari. Il dibattito critico intorno all’opera viene riaperto da Volpe (1970) che l’assegna allo Scarsellino, tesi non condivisa dalla Novelli (1984, 1990) che ritiene trattarsi di dipinto in ambito veronese mentre alla cerchia scarselliana è ricondotta dalla sottoscritta.

Ludovico Settevecchi

Ultima cena

La prima menzione di questa tela è del Brisighella (1704-35) che la segnala nel refettorio del Convento di San Guglielmo a Ferrara e la dice eseguita nel 1605. Dopo la soppressione del monastero (1832) venne acquistata dal mercante d’arte U. Sgherbi ed entrò poco dopo nella collezione Mazza. Per quanto riguarda la datazione, non vi sono prove documentarie a sostegno dell’anno proposto sa Brisighella ma il 1605 sembra comunque poter concordare con lo stile di quest’opera, che dimostra molteplici affinità con la tela di analogo soggetto, appartenuta alla collezione Zambeccari e oggi passata alla Pinacoteca di Ferrara, anche se di rispetto a quest’ultima la Cena in questione presenta alcuni parti di qualità pittorica inferiore, da spiegarsi probabilmente con l’intervento di aiuti. Da notare inoltre come il modello veneto presente sia non più Paolo Veronese ma Tintoretto e in particolare la sua Cena per San Marcuola, modello forse mediato da Agostino Carracci, che aveva nel 1596-97 realizzato per l’altar Maggiore della chiesa di San Cristoforo alla Certosa di Ferrara un piccolo rame di analogo tema.
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Ippolito Scarsella

Sant’Apollonia

Sant’Agata e Sant’Apollonia. Questi quadretti sono forse da identificare con quelli citati da Brisighella come parte dell’ornato di una tela raffigurante l’Annunciazione che si trovava su un altare di una chiesa di San Romano. Brisighella ricorda “quattro quadretti lunghi dov’erano espressi li Santi Girolamo, Biagio, Agata e Apollonia i quali il moderno Vicario da levati dai muri della chiesa, ov’erano stati appesi, e se li è portati in casa”; in seguito i due in oggetto sono citati da Laderchi (1839) nella quadreria Costabili mentre negli altri due, con San Girolamo e San Biagio, non ve ne è più traccia. Dalla collezione Costabili, Sant’Agata e Sant’Apollonia sono poi passate un quella Vendeghini Baldi e da qui alla Cassa di Risparmio. Le due tele, databili secondo la Novelli alla fine del Cinquecento, sono oggi in buone condizioni di conservazione. Le Sante, che tengono ben in evidenza gli attributi del loro martirio, ci appaiono fissate in un atteggiamento devozionale ma non privo di forza espressiva.
A cura di J.Bentini, La pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1992.

Ippolito Scarsella